giovedì 24 ottobre 2013

Lost Lagoon

Un racconto della fine del 2010. 


"E' che sono stanca. Forse non ti sopporto più."
Guarda un sasso da vicino, ne studia le imperfezioni con l'indice.
"Sì, mi soffochi. Come una coperta sulla faccia. No, come una valanga".
Si bagna il dito con la saliva e disegna una faccia sul lato più liscio del sasso.
"Perché non mi guardi?"

Le concede un'occhiata, inspira.
"Dovresti dire qualcosa."
Gli prende il sasso dalla mano, lo lancia nello stagno. Per poco non prende un cigno.
"Credevo di averti stancato."
"Lo so."

Gli appoggia la testa tra le scapole, gli stringe la pancia con le braccia.
Trattiene il fiato, uno di quegli uccelli neri si è buttato sott'acqua, non respira finché non lo vede riemergere.
"Hai ragione."
"Cosa?"
"Soffocare. Non è piacevole."
Lo lascia andare.
Gli viene in mente la canzone di una pubblicità. Deve comprare il detersivo. Delle birre. Stanno facendo tardi.

"Era solo una metafora."
"Lo so."
"Ti amo."
"Anche io."
"Lo so."

lunedì 21 ottobre 2013

A/B Normal

Nel mondo della pubblicità, l’A/B testing è una metodologia che permette di decidere quale variante di una comunicazione raggiunge meglio l'obiettivo. Le due varianti vengono somministrate a due gruppi diversi ma omogenei di pubblico e quella che dà i risultati migliori viene poi scelta come definitiva e utilizzata sulla totalità dall’audience.

Per farla semplice, con l’A/B testing capisci se è meglio mettere il bottone “Registrati”  in basso a destra o se la foto con lo sfondo blu ti farà fare più soldi di quella in bianco e nero.
In breve, è un modo per non prendere decisioni.
Un modo per farle prendere agli altri.
Praticamente il paradiso del maschio tra i 25 e i 40 anni.

Capito la svolta?
Con questa tecnica non sei tu a decidere che cosa sia meglio per te (il tuo sito, la tua campagna di pubblicità, la tua iniziativa di raccolta fondi per diventare Presidente degli Stati Uniti, la tua relazione problematica con la suocera); con questa tecnica lo fai decidere agli altri. Tu devi solo definire l’indicatore sulla base del quale, a un certo punto, l’opzione A prevarrà sulla B o vice versa: vendite di pannolini per i primi passi, calo significativo dell’effetto serra, felicità in genere.


Vorrei rinascere in un’epoca in cui l’A/B testing sarà uso comune anche per le scelte solide della quotidianità: un universo dove un’Olivia prende il 2 e l’altra la verde e la prima che arriva a Lanza compra i biglietti per il prossimo Cyrano, che verrà visto da una delle due, mentre l’altra uscirà con quel tipo che un po’ le piace, sì, ma non la convince fino in fondo e quindi non sa se val la pena saltare la prima di Cyrano con la zia che viene a trovarla dall’Umbria per uscire con un tipo che non è che le piaccia poi molto.

Insomma, una vita così, dove non sbagli mai. O se sbagli, almeno lo sai. Perché il problema delle decisioni, nella vita reale, non è tanto che devi prenderti la responsabilità di prenderle. Non puoi stare in eterno nel mezzo di un incrocio, questo lo sanno anche i bambini di quattro anni. Il problema, nella vita reale, è che una volta che scegli di prendere una strada non puoi sapere come sarebbe andata se ne avessi presa un’altra.
Anche tutta la faccenda del meglio un rimorso che un rimpianto, se ci pensi bene, non ha nessun senso. E' tutta un'illusione a posteriori. Che differenza c'è tra il rimpianto per non avere preso il tram e il rimorso per essere salito sulla metro? Nessuna. E lo sai. Ed è così che ti arrabatti tra paure, divinazioni, buoni consigli e cattivi esempi. Perché non c'è differenza tra un rimorso e un rimpianto e soprattutto perché non puoi fare un A/B test nella vita reale.

Che poi, lo confesso, ogni volta che penso a A/B testing mi viene in mente questo:


giovedì 17 ottobre 2013

Diamo i numeri

In questi giorni mi sono sforzata di utilizzare la mia mente matematica. Vi assicuro che c’è, anche se puzza di excusatio non petita. E allora vi racconto di come ho imparato a fare una stima del numero di olive in un barattolo da 250 grammi. Ho guardato un barattolo, pensato a quanto pesa un'oliva e quanto pesa il vuoto e ho calcolato che in un barattolo così di olive non ce ne è mai abbastanza.

Ma sono di parte, io, certo.

Ho anche imparato che le calcolatrici, a gran sorpresa, sono utilissime per fare calcoli: tipo che calcolano in un solo colpo quanto è il 30% in più di 1.789, che è poi anche l’anno della Rivoluzione Francese e se lo aggiungi a 1.776, che è l’anno della Rivoluzione Americana, ti dà le ultime quattro cifre del mio numero di telefono.

Insomma, è stata una settimana fiacca dal punto di vista creativo e non c’è stato nemmeno l’annuncio di un premio Nobel per la Letteratura. Però una ragazza di 28 anni ha vinto il Booker Prize con un romanzo di 823 pagine.

Così, per dire che pochi numeri, a volte, raccontano il 30% in più di mille parole.


martedì 8 ottobre 2013

Turpe voglia, occhiali 3D

Uno dei miei versi preferiti di Guccini recita Poi chiusa la soglia/ Do sfogo alla mia turpe voglia / Ascolto Bach. 



Recentemente ho visto l’ultimo film di Sofia Coppola, prima il vincitore del Festival di Venezia, un po’ di roba vecchia di Almodovar, almeno due titoli nominati per qualche motivo al Sundance. La mia turpe voglia, invece, oggi mi fa pensare con intensità a un giro in un multisala di periferia.
E’ lo stesso genere di desiderio di soggiornare nell’anonimato di un grande hotel di lusso: la voglia di negazione, di perdita, di quell’altrove che, catapultandoti così lontano dal tuo mondo, è il solo a saperti riportare dritto dentro te stesso.
Ho voglia di perdermi in un universo di coda alle casse, di ragazzi con la polo gialla che nascondono una biografia di Chabrol sulle ginocchia, di occhiali 3D, di mani unte di popcorn al burro, di pubblicità, di gente che si alza con i titoli di coda.

Ho voglia di dimenticarmi di spegnere il cellulare e di addormentarmi cullata dalle vibrazioni del dolby digital, dalle tue carezze.





martedì 1 ottobre 2013

Confessioni di una fluffer


A parte che mi chiedo se sono sempre e solo donne. Probabilmente sarebbe più efficiente se fossero degli uomini o, meglio ancora, se gli attori provvedessero da sé. Il porno in tempi di crisi.
Comunque non è che sia un’esperta del genere o che mi stia appassionando di econometria della catena del valore nel settore cinematografico. È la figura che mi interessa.


Un po’ mi sento così, preparatoria: una vita in attesa, un po’ di fatica, poca soddisfazione e poi sotto i riflettori ci va qualcun altro. Per un po’ non è stato poi così male: ho imparato, ho imparato molto. Nel grande equilibrio della vita, ho pensato, ho dato il mio contributo come tutti; quel che ho fatto l’ho fatto bene, anche dosare le forze è una qualità in determinate situazioni.
Ma adesso non ho più voglia di dosare le forze, conosco la sceneggiatura e posso improvvisare, gli attori non mi intimidiscono più e il pubblico conterà solo alla fine della storia. Il film verrà bene, ci conto. E se verrà male, me ne prenderò la colpa. Meglio quella che trovarsi come sempre a mani vuote.