Un racconto della fine del 2010.
"E' che sono stanca. Forse non ti sopporto più."
Guarda un sasso da vicino, ne studia le imperfezioni con l'indice.
"Sì, mi soffochi. Come una coperta sulla faccia. No, come una valanga".
Si bagna il dito con la saliva e disegna una faccia sul lato più liscio del sasso.
"Perché non mi guardi?"
Le concede un'occhiata, inspira.
"Dovresti dire qualcosa."
Gli prende il sasso dalla mano, lo lancia nello stagno. Per poco non prende un cigno.
"Credevo di averti stancato."
"Lo so."
Gli appoggia la testa tra le scapole, gli stringe la pancia con le braccia.
Trattiene il fiato, uno di quegli uccelli neri si è buttato sott'acqua, non respira finché non lo vede riemergere.
"Hai ragione."
"Cosa?"
"Soffocare. Non è piacevole."
Lo lascia andare.
Gli viene in mente la canzone di una pubblicità. Deve comprare il detersivo. Delle birre. Stanno facendo tardi.
"Era solo una metafora."
"Lo so."
"Ti amo."
"Anche io."
"Lo so."


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