La ragazza sul treno potrebbe essere carina. Ha un piercing fuori contesto sul sopracciglio destro. I capelli sono corti, non il corto asimmetrico della new wave punk di certi parrucchieri di città: è quel corto che dice sono più comodo così, ho fretta di pensare ad altro quando esco dalla doccia. La gonna dritta di velluto al ginocchio, un po' da convento, una maglia con le maniche corte e una peluria bionda intensa sugli avambracci.
Mi ha innervosito quando non si decideva a salire, quando la madre non si levava di mezzo e non ci lasciava passare.
Ciao Elena, ciao continuava a ripeterle. Eppure non sembrava stesse andando chissà dove, col suo trolley piccolo, da studentessa fuori sede.
Ha l'aria di una che studia medicina, magari biologia. Provo a dormire, mi gira la testa oggi. Sento la musica che esce dalle cuffie del ragazzo di fianco, rumore bianco per le mie fantasie da dormiveglia.
Ma qualcosa, quasi subito, mi sveglia: la ragazza parla con un'amica al telefono. Dice il nome e suona come Tiziana, ma non ne sono sicura, le dice che è stata una giornata pesante, le dice ti racconto dopo che ora no, ora non ce la faccio e ho bisogno di digerirla questa giornata.
Piange, l'amica capisce, non lo so, ma di certo dice qualcosa come non ti preoccupare tra poco ci vediamo e mi dici tutto. La lascia riattaccare. Penso che riattaccare è un verbo un po' obsoleto per un iPhone, ma lei continua a piangere e ci si butta con tutti gli occhi in quell'iPhone.
Passa il tempo quasi di un'intera fermata prima che si calmi almeno un po', prima che capisca di aver bisogno di un fazzoletto e trovi il coraggio di alzare lo sguardo per spostarlo verso il suo zainetto. Per un istante i nostri occhi si incrociano, ma sento il pudore che li spinge altrove. Dove avrà messo quei dannati fazzoletti?
Rovisto nella mia borsa. Parlarle no, non posso. Chiederle se è per sua nonna che piange, se sta davvero così male. Penso alla mia di nonna. A una sola; all'altra no, non so perché, ma non ci penso quasi mai. Che stronza. E così faccio per darle il fazzoletto, ma mi ha preceduto di un secondo e è già lì che asciuga e soffia. Già sta meglio, o così sembra e io posso tornare ai miei sogni, all'avviso dell'altoparlante che mi regala altri venti minuti di nulla tra le campagne di nebbia, a quel desiderio che si allontana per riavvicinarsi, al bacio morbido in un cinema o in quell'auto, ma solo sulla fronte.
Quando mi risveglio, la ragazza che potrebbe essere carina guarda fuori, si vedono quei due palazzi quasi alti, quasi di vetro. Il ragazzo di fianco a me è ancora assorto in un foglio con parole piccole messe ad elenco; forse non si è accorto di nulla o fa solo finta, o forse per la prima volta pensa che aveva ragione sua madre:
non dimenticare, tesoro, i fazzoletti.