giovedì 20 dicembre 2012

Flesso solare

C’è un istante preciso. E’ l’istante in cui il temporale inizia a far tremare le grondaie. Succede quando la barca, inclinata verso la boa, - vittoria? - finisce per ribaltarsi.

C’è sempre un momento unico e brevissimo in cui una situazione cambia. È il flesso del grafico.
Ieri mi sentivo felice perché non avevo motivi per essere infelice. Oggi mi sento infelice perché non ho motivi per essere felice. Si può arrivare dal disegno di un grafico al calcolo della sua derivata, fino a trovare in modo preciso quando arriverà il momento in cui la direzione delle cose cambierà di nuovo?
Potrebbe essere domani, o questa notte.

lunedì 10 dicembre 2012

Chissà come è essere dio

Sotto Natale, l'azione più pia che mi passa per la testa è ripubblicare un post del 20 agosto 2009. 
Mi chiedevo come fosse essere dio. (attenzione ai fulmini)


Essere dio è bello. Faticoso, eh. Ma piuttosto divertente.
Tu sei lì, lontano da tutti sul tuo trono di nuvole automassaggiante a doppia velocità con schienale reclinabile e guardi i tuoi uomini, laggiù.
Decidi che Tizio deve incontrare Caio. A Sempronio hai dato in dotazione un'intelligenza vivace, peccato che sia un po' pigro e con le donne non ci sappia fare. Tizia, sua moglie, può sempre consolarsi con John Doe, il vicino di casa californiano che lavora per la Procter&Gamble. Certo, finché non ti sembrerà un po' inopportuno che questi fornichino proprio sotto gli occhi del loro dio e allora manderai loro una qualche maledizione nella forma, che ne so, di un attacco di gonorrea.
Certo, c'è la storia del libero arbitrio. Mica controlli tutto. Quanti dei ci vorrebbero, altrimenti?
Poi l'uomo ha una sua dignità, può pur fare qualcosa da solo. Ha un po' di dio dentro di sé, tutto sommato.
E' giusto dare fiducia, delegare. Lo dice anche il One Minute God a pagina 13.
Il trucco sta nel dosare bene controllo e libertà. Puoi lasciare andare i tuoi uomini dove vogliono per un po' e stupirti di come possano raggiungere cose che tu, per loro, nemmeno sognavi. Puoi esserne fiero. O fulminarli, se è il caso.
Essere dio richiede creatività e pazienza. E umiltà.
Scrivere è un po' provare a essere dio. Lavorando sull'umiltà, certo.

Raining in darling


Non piove più. Sono umano, ho provato a stare sveglio con te per cercare le stelle nascoste tra i grani di stucco del soffitto. Ho provato a stare sveglio tutta la notte. Forse ho sbagliato notte, ho sbagliato nascondiglio.
Ringo se ne stava nell’angolo della stanza con un occhio aperto e uno no, ci guardava parlare con le nostre facce tese verso l’alto, dentro di sé sapeva cosa sarebbe successo e certamente non approvava. Adesso sembra arrabbiato con me, mi segue con il suo muso arricciato, mi guarda raccogliere le scarpe, rimettermi la mia maglia umida che ti sei stretta addosso, vuota, quando finalmente ti sei addormentata.
Era già l’alba e la pioggia aveva smesso di scendere da poco, pochi minuti. Ho sentito la pace cadere insieme all’ultima goccia attraverso la finestra che avevamo lasciato aperta: dormi sempre con la finestra aperta, anche quando si gela. All’inizio pensavo che fosse una follia, poi ha iniziato a piacermi. Ora penso sia solo libertà.
Lo accarezzo, non ho il coraggio di accarezzare te. Non saprei uscire sapendo che mi guardi dalla finestra, appannandola con il tuo fiato fino a farmi scomparire. Amore. Fuori si sta bene, ci sono milioni di cose da fare. Un uomo deve, può fare. Può uscire a giocare a bocce, lavorare, stare fermo in un bar a guardare le stecche del biliardo scivolare al rallentatore sul tappeto verde. Ho visto uomini lavorare fino a morirne, impalcature cadere, aerei volare con la cravatta, mani spezzarsi, rughe di terra in faccia e sotto il sole. Farò quello. Passeggerò fino al lavoro, lascerò la spiaggia alle spalle, nasconderò il latrato di Ringo in una canzone di musica forte e non penserò a nulla, continuando a dimenticarmi di pensare a te.
Fuori si sta bene. Troverai le tue stelle dentro di te e io ti guarderò volare. Perché mi ami, so che mi ami. 
Ascolta Raining in darling su Youtube

martedì 4 dicembre 2012

Credevo fosse un nonostante e invece è un poiché.

Ci sono delle cose che proprio no. Cose che non sono possibili. E tu sei lì e pensi Arrivano, e pensi Ce la faccio, e pensi Non può non essere. E poi non arrivano, non ce la fai, non possono essere. Vi farò una rivelazione: queste sono le cose perfette.
Ho sempre pensato che perfezione e impossibilità fossero due aspetti di un paradosso. Se una cosa è perfetta per noi, perché è così difficile realizzarla?
Insomma, per una valanga di tempo ho vissuto nella frustrazione di conoscere la meta e non comprendere la strada. Così, una meta dopo l'altra.
Oggi, mangiando un taralluccio, ho capito: una cosa non è impossibile nonostante sia perfetta, una cosa è impossibile in quanto perfetta. Le cose perfette non esistono non tanto perché il mondo sia imperfetto e noi, nella nostra umanità, non siamo capaci di raggiungere la perfezione.
Le cose perfette non esistono perché la perfezione è la fine di un processo. La vita, la felicità e la bellezza, invece, sono lavoro, sono cambiamento. Le cose perfette sono già arrivate (morte?) mentre noi, arrivati, non lo siamo mai (viviamo, certo).
Mi ricorda un insegnamento yoga che dice che sono più fortunati coloro che più faticano a entrare in un’asana, perché la saggezza dello yoga si trova con il lavoro per arrivare a sentire una posizione, non nella perfezione della posizione stessa.
Ecco perché voglio buttare a monte tutte le cose perfette. Ecco perché voglio lavorare per fare della mia vita un’interminabile, irraggiungibile, posizione yoga.

Oggi parlavo di propositi per il nuovo anno. Nel nuovo anno voglio faticare per avere una cosa imperfetta. Con gioia, se posso.

domenica 25 novembre 2012

La ragazza che potrebbe essere carina

La ragazza sul treno potrebbe essere carina. Ha un piercing fuori contesto sul sopracciglio destro. I capelli sono corti, non il corto asimmetrico della new wave punk di certi parrucchieri di città: è quel corto che dice sono più comodo così, ho fretta di pensare ad altro quando esco dalla doccia. La gonna dritta di velluto al ginocchio, un po' da convento, una maglia con le maniche corte e una peluria bionda intensa sugli avambracci.
Mi ha innervosito quando non si decideva a salire, quando la madre non si levava di mezzo e non ci lasciava passare. Ciao Elena, ciao continuava a ripeterle. Eppure non sembrava stesse andando chissà dove, col suo trolley piccolo, da studentessa fuori sede.
Ha l'aria di una che studia medicina, magari biologia. Provo a dormire, mi gira la testa oggi. Sento la musica che esce dalle cuffie del ragazzo di fianco, rumore bianco per le mie fantasie da dormiveglia.
Ma qualcosa, quasi subito, mi sveglia: la ragazza parla con un'amica al telefono. Dice il nome e suona come Tiziana, ma non ne sono sicura, le dice che è stata una giornata pesante, le dice ti racconto dopo che ora no, ora non ce la faccio e ho bisogno di digerirla questa giornata.
Piange, l'amica capisce, non lo so, ma di certo dice qualcosa come non ti preoccupare tra poco ci vediamo e mi dici tutto. La lascia riattaccare. Penso che riattaccare è un verbo un po' obsoleto per un iPhone, ma lei continua a piangere e ci si butta con tutti gli occhi in quell'iPhone.
Passa il tempo quasi di un'intera fermata prima che si calmi almeno un po', prima che capisca di aver bisogno di un fazzoletto e trovi il coraggio di alzare lo sguardo per spostarlo verso il suo zainetto. Per un istante i nostri occhi si incrociano, ma sento il pudore che li spinge altrove. Dove avrà messo quei dannati fazzoletti?
Rovisto nella mia borsa. Parlarle no, non posso. Chiederle se è per sua nonna che piange, se sta davvero così male. Penso alla mia di nonna. A una sola; all'altra no, non so perché, ma non ci penso quasi mai. Che stronza. E così faccio per darle il fazzoletto, ma mi ha preceduto di un secondo e è già lì che asciuga e soffia. Già sta meglio, o così sembra e  io posso tornare ai miei sogni, all'avviso dell'altoparlante che mi regala altri venti minuti di nulla tra le campagne di nebbia, a quel desiderio che si allontana per riavvicinarsi, al bacio morbido in un cinema o in quell'auto, ma solo sulla fronte.
Quando mi risveglio, la ragazza che potrebbe essere carina guarda fuori, si vedono quei due palazzi quasi alti, quasi di vetro. Il ragazzo di fianco a me è ancora assorto in un foglio con parole piccole messe ad elenco; forse non si è accorto di nulla o fa solo finta, o forse per la prima volta pensa che aveva ragione sua madre: non dimenticare, tesoro, i fazzoletti.

giovedì 15 novembre 2012

Sulla libertà. Serendipity?

Due post ritrovati per caso, particolarmente in contesto con una conversazione del momento.
Era più o meno il gennaio del 2009.

Libertà 1
Come avere un milione in tasca. Un po' non sai come spenderlo, un po' hai paura che te lo portino via.

Libertà 2
Forse la stessa cosa vale per tutto ciò che spingiamo all'eccesso. Troppo amore soffoca in odio. L'ebbrezza vomita mal di stomaco. Per alcuni la ricerca della libertà è una gabbia che chiude a tutte quelle esperienze che non rientrano nello schema della libera scelta, dell'assoluta non preclusione di possibilità. E così la libertà diventa rigidità, il desiderio di scoprire nuove cose si muta in perniciosa miopia (o presbiopia, chissà).
Continuando a tenerci aperte tutte le strade, non finiremo mica per restare immobili al centro dell'incrocio?


venerdì 9 novembre 2012

Very important niente

Arranco sul binario dodici con il trolley, una brutta borsa del computer e tendinite da tacchi. Vorrei già essere a casa nella Jacuzzi, o nel bidet, che è più realistico, ma il mio percorso è interrotto da un cordone di velluto e un tappeto rosso. Nemmeno sulla Croisette... Prego passare a sinistra lagna come un mantra il train manager di Trenitalia. La gente attorno a me si volta e dice E' lui, sì sì, guardalo.
Io, che non riconosco un vip nemmeno quando sono a cena con lui, mi volto curiosa sperando di scorgere un volto amico nella figura grassoccia vestita di nero oltre il cordone. O almeno che sia Francesco Guccini. Invece no. Forse ho sbagliato tutto: magari è quel giovanotto accanto a lui il vip, forse sì, magari quello è proprio Will Smith. Attorno a me tutti sembrano capire ma non apprezzare e io consolo il mio senso di alienazione ripetendo una frase amica: I Vip, Olivia, sono le persone importanti per Te. Allora faccio finta che sia Guccini, anche se odia il nero e per emigrare in America prende il tram, e con l'anima in pace ma lontana, mi affretto verso le scale: sono la donna straniera riflessa sul finestrino del treno, ombra colorata che viaggia in direzione contraria. E ostinata. (Speriamo).

lunedì 5 novembre 2012

Lontana

Piangeva perché sentiva addosso il dolore di tutto il mondo. Il dolore di tutto il mondo era Antonio, quella sera.  Le parlava da lontano, da quel posto in cui la sua voce risuonava distaccata, uno xilofono ricoperto di polvere. Antonio le raccontava di essere suo figlio: un'idea che la sbalordiva. Quell'uomo poteva ben essere suo padre. Che bel giovanotto che era. Usava quella parola come la nonna Elide, "giovanotto", e si guardava le mani. Erano quelle di una vecchia, le mani di nonna Elide. Sperava di poter comprare gli occhiali nuovi, domani, insieme alla focaccia e ai pennarelli. Altrimenti come avrebbe potuto vedere, ancora, tutti quei morti in televisione? Antonio diceva che erano loro a farla piangere, ma lui era uscito, ormai, e lei si sentiva addosso il dolore di tutto il mondo: era per quello, che piangeva.

Post senza titolo


L’amore fa sempre bene? Sì.
E se non fa bene non è amore? No.
E allora?
Hai dimenticato il tempo. Lo dimentichi sempre, tu, il tempo.

domenica 28 ottobre 2012

Anniversari


Ho ritrovato questo. E oggi è il giorno perfetto per pubblicarlo.
Mi manchi, ancora.
Olivia



Giocavamo a palle di neve. Millenni fa, ormai. Non portavi più i pantaloni corti. Tua madre, però, portava ancora la pelliccia.
Per riscaldarci hai bruciato un cestino: è stato stupido, ma lo ricordiamo ancora. Quando passo di lì sorrido e ripenso al nero che ha macchiato per mesi i sanpietrini. Un nero caldo di riso e trasgressione. Ora è tutto bianco di ghiaccio.
Mancano anche i cigni. Sono finiti glassati su una torta nuziale. Non manca Annie Lennox, l'ho vista in un video e assomiglia a un uomo. Che cosa vuoi che ti dica ancora? Stanno tutti bene, chi più chi meno. Io meno, ma è così per tutti.
Sono qui che macino e scrivo. Mi chiudo in silenzio, non lavoro tanto e quando esco sorrido anche se dentro piango. Mi manca una casa con il camino e il tavolo da ping pong, mi manchi tu e una manciata di altre persone. Mi mancano i luoghi che non ho visto e i boschi dove camminavamo. E Central Park e le grida dei gabbiani.
Sto per partire per un nuovo viaggio, così potrà mancarmi un nuovo posto, potrò sentirmi ancora sola lontano da tutti e felice di esserlo. Potrò correre in costume e festeggiare sotto una nevicata di stelle. Sarò felice per un po' e, tornando, mi butterò sotto il piumone per sentirmi calda come il ripieno di una crostata sotto una coltre di panna montata.
Ho visto uno spettacolo teatrale, ieri. Uno che ti sarebbe piaciuto, che ti avrebbe fatto dire no basta. Hanno parlato di Genova e ho applaudito pensando anche alla tua faccia sporca di sangue. Saresti stato lì con me ad applaudire, forse saresti stato dall'altra parte. Lo eri. Da quella di chi si arrabbia e lavora, di chi ci prova. Perché hai abbandonato?
Non sono polemica. Solo curiosità: anche io navigo tra il prendere e lasciare; indignata indolenza. Sono avara con la vita, ultimamente, ma sto pensando a dei regali di Natale molto generosi. Mi faccio del male, giudico male, scrivo cose che non dovrei, non dico quello che vorrei. Vedi, ti faccio arrabbiare, ma del resto sei così in debito di arrabbiatura nei miei confronti che non ti puoi lamentare. 
Dicono che ci siano autostrade e mulattiere, che sia come guidare di notte con i fari bassi. Poi a casa ci arrivi, dicono. Dipende da cosa ci trovi; a casa, dico: gente mascherata e musica bella, una spaghettata e un bagno in piscina, un caminetto e un tavolo da ping pong, tutti i gabbiani sulla riva dell'oceano. O tutta le gente che ti manca, tutta quella che non hai mai avuto.
Mandami un'anteprima. Se ci riesci, mandami un sms. Io lo aspetto.

sabato 27 ottobre 2012

Le regole

Regola di economia domestica n. 1: non girare il caffè con le fette biscottate Pan Monviso

Regola di orienteering urbano n. 1: se l'autista della 91 ha sbagliato strada, vuol dire che sei sulla 92

venerdì 26 ottobre 2012

Non si finisce mai di sbagliare

Un errore è per sempre. I nostri errori  non ci lasciano mai veramente, perché loro, in fondo, ci amano; loro (loro sì) non ci lascerebbero mai.
L'altra sera preparavo il tiramisu a casa di Maria Giovanna.
Parlavamo e io montavo gli albumi. Con il tiramisu ho sempre l'ansia degli albumi: di solito ne metto due per tre tuorli, ma è una proporzione delicata e ogni volta che aggiungo gli albumi montati a neve ho sempre paura che siano troppi, e annacquino, o siano pochi e non si sentano. Quella sera parlavo con Giovanna e l'unica cosa su cui ero concentrata era la sezione aurea degli albumi a neve; così quando ho messo il marsala, la mano è stata un po' pesante. Avevo così paura di annacquare il tiramisu con troppi albumi, che alla fine ho esagerato col liquore.
Quella sera, a casa di Maria Giovanna, ho sbagliato il tiramisu perché gli albumi erano perfetti.
Succede sempre così. Succede che sbagli come un imbecille una volta, due, per anni. Succede che ti accorgi e che hai così voglia di non sbagliare più che non fai altro che ingegnarti per evitare di commettere lo stesso errore. Conta solo quello: non conta essere felici, fare un buon tiramisu, non conta nemmeno non sbagliare: conta solo non fare Quell'errore. E così la tua vita, per non sbagliare, diventa l'Errore.
Finché non arriva Maria Giovanna e ti toglie la bottiglia di marsala dalle mani.





mercoledì 24 ottobre 2012

Tremate, tremate: le olive son tornate

Tempo fa avevo un blog, ma poi me l'hanno ucciso. Aveva il suo seguito, piccolo ma fedele. L'avevo abbandonato da un po', me ne sarei dovuta accorgere prima, come è possibile che non ci sia più. Mea culpa.
Metterò, qui, qualcosa di quello che è sopravvissuto tra i backup dei backup, qualche brano che ancora mi rappresenta, o non mi rappresenta più, ma che amo ancora.  E poi continuerò.
La veste è rinnovata, i tempi sono cambiati. La prima novità è che da oggi avrò un nome e un cognome. Seguitemi.
Vostra,
Olivia De Martini