Ho già scritto, tempo fa, di come ci siano poche
giornate davvero significative in una vita. Due? Sette? Allora ci dobbiamo accontentare dei momenti significativi: quelli in cui una verità ci si svela sotto forma di piccoli eventi quotidiani che solo apparentemente sono uguali a tanti altri.
Questa mattina ho avuto in dono uno di questi momenti.
In questo periodo sto ospitando una giovane donna. Quando mi sono svegliata, come al solito, la prima cosa che ho fatto è stata andare in cucina a preparare il caffè. Avvicinandomi al lavandino, ho notato che la cucina era allagata. L'ospite, tra le mie imprecazioni e gli scongiuri su una possibile perdita della caldaia, mi dice che, certo, se ne era accorta: anche lei, poverina, si era inzuppata il calzino prendendo la tazza per il suo latte e cereali. Eppure non ha asciugato l'acqua e non mi ha detto, vedendomi apparire come uno zombie dalla porta della mia camera:
Attenzione c'è un Vajont nel lavello della tua cucina.
La mia irritazione è stata minima. Da una parte perché comprendo la fatica, data la giovane età, di vedere il mondo come un luogo noioso, governato dalla legge causa-effetto e dal principio giuridico di responsabilità penale personale piuttosto che come un favoloso mondo magico dove i calzini passano in autonomia dal pavimento della camera alla lavatrice fino a tornare, accompagnati dal profumo di Lenor, nel cassetto. Dall'altra perché le voglio così bene che non mi sarei arrabbiata nemmeno se avesse organizzato uno schiuma party nel mio soggiorno. Anzi.
Questo piccolo evento è stato significativo in due sensi.
Il primo è che ho capito che questa persona, nella mia vita, ha un importante ruolo, quello di allenarmi alla gestione, o quanto meno alla tolleranza, di un uomo in casa. Perché una tardoadolescente ancora semiaddormentata, ho capito oggi, è esattamente come un uomo. Solo che lei impara.
Ringraziatela, quindi, uomini. Se fra sei mesi la mia casa sarà un tempio di amore e tolleranza, sarà prevalentemente grazie a lei. Io sarò solo la vestale che si occuperà di essere felice lì dentro, sforzandomi di rompervi le palle il meno possibile mentre evito il presentarsi di gravi incidenti domestici.
Il secondo è un po' più filosofico.
Il Vajont nel lavandino smette di esistere se io lo ignoro? Nello studio della relazione ontologica tra oggetto e soggetto, credo che i filosofi, nei secoli, abbiano sottovalutato la questione delle perdite d'acqua dalle caldaie. Nella vita personale e in società, un oggetto non smette di esistere solo perché lo ignoriamo. Possiamo fingere di non vedere il nostro vicino di casa antipatico, ignorare le notizie sulla Siria o non scendere in piazza in favore dei matrimoni gay e continuare comunque a sentirci dei cittadini decenti. Ma ci comporteremmo ancora così se incontrassimo il vicino mentre sta avendo un infarto, o se il nostro migliore amico fosse gay o fossimo innamorati di una donna di Aleppo?
Insomma, il soggettivismo funziona finché si tratta di una relazione individuale, semplice, tra oggetto e soggetto. Ma il mondo è una rete di relazioni complesse e se abbiamo tutta la libertà di ignorare il nostro bene, nessuno ci autorizza a ignorare il bene altrui.
E qui arriva l'amore. Perché solo l'amore ci apre gli occhi sugli altri: se vuoi essere una buona persona, in fin dei conti, devi amare. E se ami, il Vajont non lo ignori, perché amare è anche, almeno un po', una questione di responsabilità.