martedì 7 ottobre 2014

Due più due

Le aveva fatto tornare la voglia di studiare matematica. Con quel suo modo di scompigliarle i capelli era riuscito a scompigliarle anche i pensieri. Non prendeva in mano un libro di matematica da tanti anni che, ormai, non sapeva più nemmeno come fare a contarli.

Non è vero che certe cose non si dimenticano. Va bene la bicicletta, ma le disequazioni? Ah, come aveva amato le disequazioni. Solo per il fatto che fossero "dis". Distratte, disperate, distinte, distanti: non aveva mai provato una simile affinità con qualcosa che non fosse ricoperto di riccioli neri.
Questo non significa che poi non le avesse dimenticate. A un certo punto, tra l'esame di sociologia e l'ultima lacrima per un ricciolo nero, aveva deciso che sarebbe stato molto più utile rimpiazzarle con la voce inglese per "valvole pneumatiche a doppia sfera metallica" o l'arabo per "vaglio vibrante deglassato".

Aveva dimenticato anche come si ama. Non la tecnica in sé: nelle sue lunghe trasferte - a Bruxelles o a Doha non faceva differenza - l'allenamento non si era fatto mancare. Eppure si era sentita come al primo giorno di scuola quando lui le aveva parlato dell'amore. La prima volta era stato come un gioco con un abbecedario. Poi si era fatto tutto più difficile e le parole si sovrapponevano in pensieri così complessi che diventavano una musica, una sberla.

Un giorno un suo amico le aveva detto "Se hai un problema, Teresa, moltiplicalo". Lei non aveva mai capito il significato di questa frase fino in fondo, ma siccome le piaceva complicarsi la vita, aveva seguito il consiglio con una fede cieca, certa che prima o poi il senso si sarebbe svelato come un fiore che sboccia in autunno.
Così aveva deciso di rimettersi a studiare la matematica. Perché certe cose non si possono spiegare con le parole, ma nessuno aveva ancora dimostrato che non valesse la pena provarci con un integrale doppio.



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