C’erano dei pantaloni molli, forse un pigiama, c’era la
buccia di una banana mangiata quando era ancora troppo verde, i fogli di un
giornale patinato. L’amore era tutta una questione di livelli per Agnes. Puliva
i residence degli studenti, non era un brutto lavoro: capitava di dover pulire
il vomito, quello sì che le faceva schifo, ma il più delle volte doveva solo
spostare dei libri e piegare qualche camicia, qualche bel golf.
Ecco il primo livello dell’amore, la raccolta. Raccogli oggetti, indizi. Devi imparare ad amare tutti i
significati che si portano dietro le mutande abbandonate, le parole ascoltate
con troppa fretta. Ti devi chinare, devi toccarli, sentire quel che hanno da
raccontarti con il loro profumo, il loro colore, il tempo che li ha trasformati
o la novità che li ha portati presto a essere dimenticati. Crei un racconto, l’idea
dell’altro, qualcosa che si avvicina alla sua conoscenza e lì puoi decidere di
fermarti.
Oppure puoi passare al secondo livello (ah, la volontà, che
cosa sarebbe l’amore senza la volontà?).
Il secondo livello è l’ingresso.
Capita che gli indizi ti piacciano (a volte capita anche ad Agnes tra un giro
di polvere e una lavatrice) e allora vai, cerchi di entrare. L’ingresso è
fondamentale: si tratta di passare da come ti appare una persona a quel che
questa persona lascia scoprire di sé. Non è scoprire la sua verità (e chi la
conosce, davvero, la verità su se stesso?): è entrarci dentro. Magari non la
sai, magari non ci capisci niente, ma in quella stanza ci rimani e te ne lasci
inondare.
Agnes lo faceva, a volte. Le era capitato con uno studente
dell’ultimo anno. Erano rari quelli dell’ultimo anno; di solito andavano in
appartamenti indipendenti, si spostavano. Lui invece era rimasto nella stessa
stanza per tre anni. Agnes amava quella stanza: aveva raccolto pagine
stracciate e dischi rotti, aveva raccolto petali di fiori, sentito il profumo
delle ragazze che passavano i pomeriggi a studiare lì. Anche lei studiava, ma lo
faceva in un’università statale, studiava filosofia senza la speranza che
questo la allontanasse dalle pulizie nei residence e negli uffici. In quella
stanza non aveva solo raccolto, aveva ascoltato, respirato, sentito la verità
del ragazzo dell’ultimo anno. Non era passata al terzo livello.
Il terzo livello è l’abbraccio.
Agnes non abbracciava un ragazzo da tre anni, ma questa è un’altra storia. Dopo
che hai raccolto gli indizi, dopo che sei entrato nell’altro: ecco, dopo lo
devi abbracciare, stringerlo come la corteccia di una quercia centenaria, come il pupazzo di quando eri piccolo o la sabbia bagnata. Lo abbracci finché il punto in cui finisci tu e
inizia lui ti sembra non avere più importanza. Accetti, prendi, dai. In quella
stanza in cui ti sei fatto affascinare dagli oggetti caduti dalle mensole,
quella stanza in cui hai ammirato estasiato i segni dei suoi passi, proprio in quella
stanza, con l’abbraccio, inizi a vivere. E non conta tanto quanto ci resti,
conta che ci sei.


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