giovedì 26 settembre 2013

Un sogno.


Stanotte ho fatto questo sogno.
Eravamo seduti in terra, la stanza era grande e di cemento. Con le gambe stese sul pavimento e le schiene appoggiate al muro guardavamo il buio, in silenzio.

Io avevo freddo e avevo le braccia fredde. Tu avevi caldo e le tue braccia erano calde.
Poi abbiamo poggiato il braccio dell'uno a quello dell'altra.
Non so chi si è mosso per primo, ma dopo non avevo freddo e tu non avevi caldo.

mercoledì 25 settembre 2013

Cum grano salis

Halloween 2010. Chissà perché non pensavo alla zucca.



E' un po' come la differenza che c'è tra fare un impasto con la fecola e uno con la farina di mais. I rapporti con le persone sono così: ci sono relazioni fecola e relazioni mais. Ci sono anche i rapporti ghiaia, ogni tanto. E se voi siete burro o latte, forse non vi farà tanto bene rotolarvi nella ghiaia.
O forse sì.
Sono incontri grossolani, chicchi grossi su grani sottili. Il chicco grosso in alcuni punti graffia, si conficca, lascia stampi rossi sulla pelle; in altri lascia sacche d'aria in cui si disperde l'energia e il senso scorre. Non è che sia un male in sé: può anche fare bene, quest'aria. Magari gonfia l'impasto, lo ossigena, gli fa ingoiare altri elementi che volano nell'ambiente.
Sono casi rari, mi rendo conto. Il più delle volte, i rapporti grosso-sottile non funzionano proprio.
Più i due grani si avvicinano per dimensione, più è facile che le cose funzionino: si forma una bell'amalgama: non c'è uno dei due elementi che prevale, ci si appiccica a vicenda, la pasta diventa elastica e resistente.
Mi è capitato di trovare questa fecola sottile, mi è arrivata addosso come un soffio di vento. Non ne ho percepito l'estraneità nemmeno per un istante. Forse un colore, solo luce, mi lasciava distinguere i suoi grani dai miei. Era diversa da me, certo, questa sostanza. Di un colore viola più cupo, con pagliuzze metalliche. Continuavo a distinguerla con gli occhi mentre mi si mescolava addosso, ma appena li chiudevo mi sentivo come sola, ma raddoppiata.
Capita di chiudere gli occhi e dimenticare il colore che ci fa diversi. Capita di sentire di essere esattamente quello che sente l'altro, di essere l'altro e di sapere che quei grani viola sanno esattamente quello che i nostri grani azzurri stanno per dire.
Capita. E poi magari non basta, e poi le cose non sono più le stesse.
Proviamo a lavarci via la polvere viola, ma il ricordo non ci lascia. E ogni volta che incontriamo un grano grosso, ogni volta che l'impasto si smonta o il sale non si scioglie, ci viene voglia di una polvere che ci si appicchi addosso, che ci tolga dalla fatica di colmare gli spazi vuoti, che ci liberi dal bruciore dei graffi.
Non è che i rapporti così funzionino meglio. Tutto funziona, e niente, allo stesso modo.
Solo ci sono impasti fecola e impasti mais.

venerdì 20 settembre 2013

Di rum non ce ne è mai abbastanza

Le buste della spesa gli stavano tagliando le mani. Odiava quelle nuove buste moderne, che puzzano e si rompono come niente. Anna gli aveva dato 60 euro. Era una cifra che non aveva senso: aveva comprato i dadi Knorr, quelli di pollo, che sapeva che Anna non sopportava di restare senza dadi di pollo, e aveva comprato dei finocchi, perché ne erano rimasti solo due e gli era venuta un po’ di tristezza a vederli così. Poi aveva preso un pezzo grosso di torta al cioccolato, la vendevano a fette, completa di ciliegina e ciuffi di panna. Il suo compleanno era passato già da una settimana; aveva preso anche dei tovaglioli con la scritta Merry Christmas, nel caso non fosse riuscito a passare di nuovo al super prima dei due mesi e ventotto giorni che lo separavano dal Natale.
E poi aveva preso tre bottiglie di rum. Anna si sarebbe arrabbiata, ma se c’era una cosa che suo padre gli aveva insegnato era che di rum non ce ne è mai abbastanza.

mercoledì 11 settembre 2013

Come le olive nel tavolo da biliardo

Ieri sera ho fatto la mia prima lezione di yoga dopo il ritorno dalle vacanze. Non è stata troppo impegnativa e ho fatto uno dei miei migliori triconasana di sempre. Eppure c'era una metafora che mi girava per la testa impedendomi di godermi a fondo i risultati encomiabili della mia pratica. La metafora riguarda le palle, ambito nel quale - vuoi per similitudine di forma vuoi per più triviali ragioni - noi olive ci sentiamo particolarmente a nostro agio.


Ma veniamo al dunque. C'è questo amico mio - ha ancora un bel po' di capelli, sia inteso, stiamo solo imbastendo una metafora - che è una Palla da Biliardo. Le palle da biliardo fanno dei giri, si scontrano con altre palle, prima o poi finiscono in buca, ma fondamentalmente per la maggior parte del tempo rimbalzano tra le sponde. C'è energia, una sorta di forza virile nel loro movimento. L'ambiente è affascinante, i rimbalzi danno alla testa e in ogni caso non è che possa succederti niente di male lì, nel tuo tavolo da biliardo.
Però devi essere disposto a lasciarti disorientare dai rimbalzi e devi essere conscio del fatto che ti trovi su quel tavolo e che se resti palla da biliardo da quel tavolo non ti muoverai mai.
Ecco quel che provavo a dire al mio amico Palla da Biliardo: hey, va bene PdB, sei quel che sei e, almeno per me, va benone così; però devi anche sapere quel che sei. Solo se accetti di essere palla in un tavolo da biliardo puoi godere davvero dei rimbalzi.

Quanto a me, quando - più o meno venti minuti fa - ho capito di essere un'insignificante comparsa di Io Chiara e lo Scuro, ho deciso di lanciarmi in buca e cominciare una nuova carriera da Biglia da Spiaggia. Essere biglia ha diversi vantaggi, tra cui quello di esprimersi al meglio in un contesto salubre e preferibilmente marino. E poi le biglie non schizzano isteriche qua e là, le biglie vanno. Magari a quel paese, però si muovono. E anche quando capitano i momenti di fiacca, hanno la serena sicurezza che prima o poi arriverà uno schiocco di dita, un sedere trascinato sulla spiaggia a formare per loro un nuovo percorso.

È questo il vero succo del discorso. È che nel gioco del biliardo, il campo è delimitato e sì, si possono prendere infinite direzioni, ma da quel recinto no, non si esce. Il movimento crea l'illusione, ma il limite d'azione genera la gabbia. La verità banale è che quando siamo palle da biliardo, ci nutriamo di una libertà, che è tale solo perché restringiamo il campo delle scelte a quel contesto che ci sentiamo di poter controllare.

E se siamo biglie in balia del culo di un settenne cambia forse qualcosa? Anche da biglie abbiamo un campo ristretto, una prospettiva limitata, ma visto che i limiti non siamo noi stessi a imporli, in quel moto eterodiretto possiamo godere dell'avventura di un percorso inaspettato, della varietà di un panorama sempre nuovo.  E, certo, aspettare che qualcuno si inventi le Palle a Moto Autonomo e Perpetuo.