giovedì 27 giugno 2013

Lettera, febbraio 2012

Quando finisce una raccolta, si fa sempre festa. Almeno così mi hanno insegnato al Leoncavallo.
Oggi ho finito di raccogliere tutti i vecchi post perduti. E pubbblico l'ultimo, che è un po' triste ma fa niente, tanto piove, va così. (era febbraio 2012)


Pensavi ti avessi dimenticato. Un po', forse; cercavo di non guardare la tua finestra, passando. Cercavo di cancellare i sogni. Ma è proprio in un sogno che mi è arrivato un pezzo di una tua orecchia, un giornale sgualcito con una data di dieci anni fa. Urlavano che mi ascolti, che le tue notizie lontane hanno bisogno delle mie parole. E io di te.

Ne ho combinate un po'. Sciocchezze, soprattutto. Come quando scappavamo insieme per parlare di politica, di palloncini colorati che avrebbero sollevato montagne.  L'altro giorno ho rivisto la tua montagna: ci hanno piantato una bandiera sopra e, vaffanculo, mi è sembrato un insulto.
E ho sentito che ero io a insultarti. Con le mie bandiere piantate e lasciate a bagnarsi sotto la pioggia, con le mie corse per timbrare il cartellino, le mie dita puntate sul mappamondo e i miei piedi a bagnarsi nelle pozzanghere. Con i miei biglietti del treno, i desideri obliterati, il sonno dimenticato con la raccolta differenziata sul terrazzo, a gelare.

E' inutile che tu mi chieda "gli altri, gli altri come stanno". Non li ho più sentiti e non li ho sentiti perché saremmo scoppiati in un pianto: troppi problemi a diventare grandi, troppe collezioni di dischi vendute, troppa tenerezza ancora lì a cercare il suo sfogo. Basterebbero le loro voci, le nostre, a farci capire in un istante dove siamo e perché tu non ci sei.

Capisci, vero? Non è ancora tempo di piangere. E' tempo di ingoiare e sorridere, ignorare le nubi, provare a soffiarle via. E' tempo di convincersi che la strada è quella giusta, cantare che andrà tutto bene, che tornerà il sole ocra di Cannes. E torneranno i baci, le urla contente, le ginocchia sbucciate, le caramelle; torneranno i sogni leggeri, il rock and roll, torneranno le stelle. Che quelle, forse, non se ne sono mai andate, che ci aspettano calme dietro al freddo dei lampioni, nascoste dai fumi grigi dei bar, dai nostri Rayban rigati messi sulla testa per scostare i capelli, da te.

martedì 25 giugno 2013

Che domande!

Peter: Lupo, che cosa sono le domande?
Lupo: Credo siano semplicemente la ricerca di risposte.
Peter: Quindi a ogni domanda corrisponde sempre una risposta.
Lupo: Sì, Peter.
Peter: E quando non sai la risposta?
Lupo: Qual è la capitale dell’Ecuador?
Peter: Non me la ricordo.
Lupo: Però l’Ecuador ce l’ha una capitale, no?

Peter: E tutte le risposte hanno una domanda?
Lupo: Anche più di una, è questo il problema degli uomini: trovare le domande giuste.
Peter: Pensavo che fossero più importanti le risposte.
Lupo: Le domande giuste e le risposte vere.
Peter: Quito.
Lupo: Cosa?
Peter: La capitale dell’Equador. È Quito.

Lupo: Sai che cosa mi ha detto una volta una persona? Che le domande che contano davvero sono quelle a cui puoi rispondere solo con la verità.
Peter: Questa è difficile.
Lupo: Sì, Peter, questa è un po’ difficile.



martedì 18 giugno 2013

Tre cuori

Lunga. Se devi trovare un aggettivo per descriverla, è "lunga". Gambe lunghe abbronzate su una faccia che resiste alla frangetta, semplicemente lunga. Assomiglia a Charlotte Gainsbourg, gli occhi dimenticati nel portapillole sul comodino.

Lui è largo. Orizzontale, diresti, con quegli occhi tagliati di sbieco. Gli cadono di lato due ciocche nere: indicano le spalle dritte, appoggiate appena su quelle di lei. Vorrei conoscerti meglio, le dice baciandole i lobi delle orecchie. Lei tace, sorseggia vino bianco e fissa il fermacarte a forma di piramide sul tavolino di fronte.

L’altro è sbieco, con una barba mal fatta, troppo alto, troppi nodi tra i capelli, nelle articolazioni. Porta il vassoio in modo traballante, una birra enorme per lui, un altro bianco per lei. Lo distrae una parola lontana, la tua battuta che mi fa ridere, sua sorella, gli occhi di lei che per un momento ritornano, incollati sul bicchiere e poi densi verso quelli dell'altro. E tutto riprende forma.

Asolta i suoi consigli sulle vacanze, parte la musica, passa uno straccio sul tavolo a fianco, si alza per andare in bagno. Noi che ridiamo, il cantante che parla, lui che si tocca le ginocchia, lei che non torna. E l'altro. Lo ha cercato per non trovarlo: è dietro al bancone che ripulisce le gocce perse di un Campari, ed è pericolosamente vicino al suo collo.



mercoledì 12 giugno 2013

Nell'erba

Hai presente quei momenti in cui senti una canzone dentro di te ma non ne sai il titolo nè l'autore; hai una vaga melodia in mente, forse due o tre parole, ma nulla che ti aiuti a identificare la canzone. Eppure sai che esiste, sei certa della sua esistenza più di quella della delle zanzare d'agosto ai navigli?

Certo. Come l'amore.

Esatto, così mi sento. Proprio così.


lunedì 10 giugno 2013

Altalena

Nano: Mi aiuti a fermarmi? Sono stanco.
Ballerina: Basta che appoggi i piedi a terra, Nano.
Nano: Non vedi che non posso?
Ballerina: Certo che puoi, quante volte te l'ho detto.
Nano: Dovresti smetterla di dirmi cose che non capisco. Le ballerine sanno contare fino a otto, mettersi i cerotti e macchiarsi di rimmel se nessuno le vede.
Ballerina: Si dice mascara, Rimmel è una marca. 
Nano: E allora la canzone, quella dei quattro assi?
Ballerina: L'ha scritta un uomo.
Nano: Fammi smettere di dondolare.
Ballerina: Sto mangiando, non mi va di alzarmi.
Nano: Ballerina, secondo te perché continuo a farlo?
Ballerina: Fare cosa?
Nano: Insomma, come faccio a smettere?
Ballerina: Smetterai di farlo quando smetterai di farlo.
Nano: Ma fare cosa?
Ballerina: Quello che avevi in testa tu!

Ballerina: Dai, ti aiuto, dobbiamo tornare.
Nano: Forse devo prendere una decisione.
Ballerina: Forse sì, ma solo se è quella giusta.


To forgive and forget

Luglio 2009. Perdona e dimentica, ma ricordati di farlo, prima!


Un feto di 34 settimane può ricordare per 4 settimane. Il che è molto meglio di quanto siano in grado di fare molti dei miei amici di 30 anni.
E se lo sviluppo emotivo dell'uomo medio si ferma ai 4 anni, da oggi so che quello mentale si ferma -0,6 anni.
Dovremmo pensare bene a questa cosa, noi donne, quando ricordiamo tutte le date e i colori delle maglie e il motivo del primo litigio e dove hanno messo le loro scarpe da calcetto. Guardiamo avanti, immaginiamo invece che ricordare, viviamo piuttosto che rimuginare.

Dimentica e immagina. Dimentica e vivi. Perdona e dimentica.

mercoledì 5 giugno 2013

Domande universali

Una mente razionale deve fondare le proprie decisioni sulla potenzialità o sulle probabilità?

Immaginatelo un po’ come vi pare. Possono essere i marziani, dio, l’inconscio collettivo, le grandi corporation o nonna Luigia: l’universo ci manda messaggi.
Gli astrofisici hanno ragione: se l'universo non è vuoto, è sicuramente molto molto vecchio, perché le sue parole sono ripetizioni testarde, sussurri con l'eco. In questi giorni, in particolare, sembra un assicuratore testardo che continua a martellarmi sull'importanza di pensare, ora, al mio futuro.

Tutti dicono di non crucciarci troppo di quel che sarà, ma è anche vero che il futuro è retroattivo: dobbiamo dedicargli un po’ di cura, non tanto perché prima o poi arriverà (d'accordo, non è detto, ma stringiamo il cornetto rosso e fidiamoci di lui almeno per le prossime dodici righe), ma piuttosto perché la predizione, la progettazione e la preparazione del futuro sono elementi solidi del nostro presente. La vera domanda non è Cosa possiamo aspettarci dal futuro, ma Come dobbiamo affrontare il futuro nel presente?

A questo proposito l’universo, vuoto e bipolare, continua a mandarmi messaggi contrastati. Nonna Luigia mi dice Olivia, immagina il mondo alle sue massime potenzialità e fatti guidare da questo sogno. I marziani, dal canto loro, suggeriscono di basare le mie scelte sulle probabilità più che sulle potenzialità.


Credo abbiano ragione i cosini verdi: di fronte a un’evoluzione con una potenzialità altissima ma molto poco probabile, è più saggio cambiare strada e dirigersi verso qualcosa di più solido o realistico. 
D’altro, sarà d’altro, come prima dei suoi baci. Una mente razionale deve fondare le proprie decisioni sulle probabilità. Detto fatto, Pablo.

È anche vero, del resto, che non sapremmo mai quanto sarebbero stati sublimi quei baci se in passato non avessimo lanciato i dadi tremando ciechi sul bordo del precipizio.

lunedì 3 giugno 2013

Archetipi

Era il maggio del 2008. Posso dire, ora, con certezza e gioia, che il mio stereotipo ormai l'ho abbandonato.
Non ho risolto tutto, credo. Ma succederà mai? E anche il quel caso, siamo sicuri che sarebbe una buona cosa? Che sarebbe divertente?
 
Noti anche come fissazioni o monomanie, gli archetipi di cui voglio parlare ora sono quei comportamenti o modelli "mitologici" che, profondamente, ci spingono sempre nei guai e sempre, più o meno, nello stesso modo.
Nel mio circolo di conoscenti, gente piuttosto sana e che comunque gode ancora pienamente dei diritti politici, posso trovare un'esaustiva parata di archetipi di ogni foggia e modello. Andiamo dal classico "mi innamoro sempre degli uomini delle altre" (o di musicisti tossicomani) al "io li aiuterò a scoprire il loro vero io" (che spesso si chiama Priscilla). C'è quello che si innamora solo di donne in menopausa, quello che si trova tra i piedi solo fanatiche di pratiche che terminano in -ing. Chi si è fatto qualcuno almeno in ogni continente e chi si mette solo con chi ha venere in acquario.

Il punto è che cosa ci rende veramente felici. Assecondarli?  Comprenderli e introiettarli sviluppando in noi stessi quel mito mancante che andiamo a ricercare nelle relazioni con gli altri? Distruggerli per liberarci dei condizionamenti e vivere davvero secondo la nostra natura?
Ma cosa resta della nostra natura se liberata dai modelli che ci rendono così veramente "noi"? Siamo sicuri che senza il nostro dispettoso archetipo non finiremo con il lottare (o diventare) con uno sbadigliante stereotipo?