lunedì 24 febbraio 2014

Stringere i nodi

Ultimamente ho riflettuto sui nodi.
Non sopporto sciogliere i nodi dei fili degli elettrodomestici, ma sopporto ancora meno prendermi cura dei fili, tipo arrotolarli attorno all'asciugacapelli una volta che ho finito di farmi la messinpiega.
Come risolvo il problema? Moltiplicandolo.
Quindi quando il filo non arriva perché è annodato, io tiro forte-sempre-più forte. Il nodo si stringe, la parte libera di filo si allunga e l'obiettivo è raggiunto.



Ed è così anche nella vita. A volte per avere più filo si deve stringere il nodo ancora più forte. A volte l'unica strada per arrivare alla soluzione passa dal peggioramento del problema stesso. Quel che conta è arrivare a spolverare l'ultimo angolo della camera da letto, non prendersi un accidenti uscendo di casa con i capelli ancora bagnati.

Detto questo, ieri mi sono decisa a sciogliere tutti i nodi del filo del Folletto, stamattina quelli del phon.

mercoledì 19 febbraio 2014

Sulla lingua e sul pensiero

Giugno 2009 - Vancouver

Le parole creano, danno forme, le parole sono azioni con effetti anche nel mondo immateriale: sogno, persuasione, sprone, potere. Noi viviamo immersi in un mondo di parole. E’ con le parole che costruiamo i nostri pensieri: anche quando si tratta di calcoli e teoremi, non puoi scappare dalle parole. E la lingua che usiamo non puo’ non avere un effetto su cosa diciamo e come pensiamo e, chissa’, forse, anche su cosa pensiamo.


E cosi’ negli ultimi mesi a Raincouver si registrano casi di difficolta’ con i tempi verbali: l’uso dell’ausiliare essere puo’ diventare una fastidiosa alternativa al comodo, ecumenico e rassicurante avere.
Anche le preposizioni hanno qualche difficolta’: “Sono su Robson, sono li’ in cinque minuti”. Se qualcuno mi ha mai sentito dire: “Sono su Buenos Aires”, gli offro un un tall latte double caramel.
Credo che una pietra del Colosseo sia caduta quando, scrivendo questo blog, ho dovuto cercare sul vocabolario una parola italiana. Volevo dire effimero e mi veniva solo fleet, che tra l'altro ha anche un significato piu’ povero (certo, se mi fosse venuto ephemeral non avrei avuto problemi).
Un capello, del resto, sono sicura sia caduto a un amico in visita qui quando gli ho detto: “Vai avanti un blocco e l’ostello e’ sulla tua destra”. Io vivo a Legolandia, non lo sapevate?
Ieri volevo spiegare un fastidioso trabocchetto psicologico in cui cadiamo spesso noi fanciulle: self questioning, per farla breve. E invece mi e’ toccato fare un riassunto di tutta la vicenda del pozzo. E anche adesso, confesso, avrei voluto usare affect almeno in un paio di situazioni.
Non che la cosa mi spaventi, per carita’. Mi chiedo solo quando l’inglese iniziera’ a semplificarmi i pensieri, oltre che le espressioni. Quando le mie rimuginazioni saranno composte da piccoli elementi giustapposti, quando le mie paranoie potranno essere espresse tutte da un solo verbo e quattro preposizioni, quando le subordinate saranno un ricordo lontano (che poi subordinate fa cosi’ politically incorrect) e mi saro’ dimenticata del pozzo nel mio monotono self questioning...
Ecco, allora, saro’ almeno piu’ felice? O sara’ come vivere tutta la vita con un delizioso little black dress e una scatola di accessori colorati?

martedì 18 febbraio 2014

Pastorale Americana

Ho dovuto controllare su Wikipedia, voce I dieci Comandamenti: Non commettere falsa testimonianza (contro il prossimo tuo).

Non è un peccato. Che cosa saremmo se dovessimo sempre essere noi stessi?

L’altro giorno ero su un treno. I treni sono una magia; lenta, ma sempre una magia: puoi essere una spia russa, su un treno, puoi essere salito per caso e senza biglietto, un’avventuriera in viaggio verso nord, una suora laica, una mamma triste, la pendolare stanca.

L’altro giorno non avevo tanta voglia: non avevo voglia di viaggiare, ma nemmeno di stare a casa, non avevo voglia di essere nessuno, tanto meno me stessa. Così sono salita su un treno.
Ascoltavo musica sensuale e leggevo Philip Roth. Lui mi guardava, aveva degli appunti di una cosa che sembrava una macchina idraulica, o il ritratto della madre di Kandinsky. L’ho assecondato, ho silenziato la musica e gli ho parlato di me.
Sì,  sono una studentessa di teologia, torno in visita dai miei genitori. Mi piace, non è troppo dura. Scendo alla prossima, ha recuperato un po’ di ritardo. Doveva essere peggio, un tempo, con quei mattoni da studiare. Ingegneria, gli anni ’70. La didattica è migliorata, forse. Torno a Milano domani. Toccata e fuga, un’amica che compie gli anni. Compagne di liceo. È passata una vita? Ne dimostra meno. È ora che mi prepari. Grazie per gli auguri, mi darò da fare. Promesso. Ah sì, è mio, grazie, che sbadata. Un ebreo sporcaccione, Esegesi della Sessuologia Biblica.
Principe, Stazione di Genova Piazza Principe.

martedì 4 febbraio 2014

Non avrebbe mai potuto odiare Anna

Stava facendo le valige. Anna era ferma sulla soglia e toglieva buona parte della luce all’interno della piccola casa sulla spiaggia. Aveva registrato la cosa senza lamentarsi, aveva stretto un po’ gli occhi e continuato a piegare le sue cose.
“Farà molto freddo a Milano”.
“Sì”.
“Potevi almeno aspettare la primavera”.
“Potevo, ma non mi andava.”.
“E cosa farai una volta lì?”.
“Andrò a stare dai miei per un po’. Mi cercherò un lavoro in banca”.
“Ma non scherzare. Quanto vuoi resistere chiuso in un ufficio?”.

Non aveva fatto una previsione. Ogni giorno si svegliava presto e andava a correre sulla spiaggia bianca. Si fermava a prendere un succo di frutta, a farsi fare delle uova. Le mangiava da solo guardando le palme, o ne faceva fare di più e le portava ad Anna, svegliandola. Per questa ragione a volte lei gli concedeva di fare l’amore. Poi c’erano i periodi in cui lei stava con qualcuno e allora le uova le mangiava da solo e aspettava che arrivassero i primi turisti da portare in giro con la barca.

Erano sbarcati insieme, lui e Anna. Era durata un po’, ma una notte l’aveva tradita con una tizia di passaggio che non era niente di speciale. Anna l’aveva scoperto e aveva scoperto, soprattutto, che non le importava poi così tanto. Così erano diventati amici e lui si era spostato a vivere nel bungalow singolo sulla spiaggia. Ogni tanto le portava le uova, ogni tanto lei gli risistemava la stanza. Ma erano di più le volte in cui lui le portava le uova.

Aveva ragione, non sarebbe resistito tanto. Si sarebbe stancato dei completi grigi, della pioggia, della gente nei cinema, dell’odore degli hamburger. Un giorno avrebbe odiato le lasagne di sua madre, le scintille del camino che bruciano i maglioni in montagna, le code di domenica per lo stadio, la sua donna. Avrebbe odiato il lavoro in banca, era certo, ma sarebbe stato peggio odiare Anna.

“Resisterò. Nella vita si cambia”.