Settembre 2010. Che barba la pioggia, che bella, la pioggia.
Pioveva. Come ogni volta che ti ho visto, pioveva. Un inizio tardo di autunno, la prima pioggia di sorpresa dopo un settembre lungo, troppo caldo dopo un agosto tropicale.
Quando era neve non c'eri. Sepolto nelle tue coperte o a zonzo, lontano. Non che io mi chiuda in casa. Temo il freddo, lo temo tantissimo, ma mi copro, strati di seta e lana e roba sintetica e ancora lana. La pelle che diventa bella, le serate seduti sul parquet. Asciutti, senza di te. Non sei mai stato tipo da stagioni intense. Non ti immagino con una tuta da sci. Potrei pensarti in costume?
Aprile era una noia di pioggia, non vedevi l'ora che finisse. Guardavi il meteo, io i miei stivali. Reggeranno fino alle infradito, fino a domani? E avrei voluto mettere un vestito nuovo, quello leggero. Non pensavo a te e sei arrivato, nascosto dietro un ombrello di pioggia dritta, infinita. Quella che porta piccole frane di capelli arricciati.
Volevo così tanto l'estate. Tanto che è arrivata. Dici è normale. Non è vero. A volte le sfuggiamo volando verso nord, come le oche. Come noi. L'asfalto che vomita vapore, il sole e le sue creme. Non sei mai stato tipo da stagioni intense, ma abbiamo avuto il nostro temporale. Grazie a dio: sarei morta senza, sarei morta vedendoti respirare, io che non respiravo.
E ora inizia un altro settembre. Subito, così presto. Troppo, dici, non hai amato l'estate come avresti voluto. Ti chiudi in un planetario per vederti addosso un pezzo di sole. Che idea, ti dico, ed esco a comprare un altro ombrello colorato. Mi faccio bella per un nuovo autunno, ma temo la pioggia per quel che non mi darà.


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