Un racconto Amarcord, ottobre 2010
Se sei di ghiaccio, io mi faccio roccia. Diventa neve e sarò sabbia che scivola.
Lo vedi il mare, laggiù? Spuntano bottiglie di birra come uova di tartaruga. Mi piacciono le spiagge in inverno: ho una foto con un pupazzo di neve che dà le spalle alla marea.
Non fanno falò, qua, come a Seaside: non c’è bisogno. Una volta hai fatto il bagno ed era gennaio. Per anni ho pensato fossi folle, ma è solo che non la conoscevamo ancora, la follia. Buttarsi nell’acqua gelata da un picco alto, con il cappotto.
Sul lungo mare c’è un ristorante ancora aperto: la luce al neon pulsa azzurra come la mia palpebra stanca. Sembra l’insegna di un centro massaggi.
Me lo faresti ancora, tra il collo e le spalle? Riuscirei a non diventare ancora più dura, estensione secca della sedia della tua cucina? Riuscirei a non girarmi per darti un bacio?
Dicono ci sia una risposta scritta con l’Uniposca sulla porta della cabina numero 7.
Controlleremo. Io sto passando sotto la mia mola di pietra, mi faccio sabbia. Ci serve quel tempo, quello che scioglie, per portarci al mare. Ma tu fatti neve, verso di me, e io sarò sabbia.
E poi saremo acqua.


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